Idoneità del personale sanitario. Furbetti del repartino?

OPERATORI INIDONEI O SANITA’ MALATA ?

Come un fiume carsico, o un’isola vulcanica che periodicamente riemerge in superficie, è stato nuovamente riportato, con articoli su quotidiani di levatura nazionale, il grande “problema” della Sanità italiana e, in particolare, della Regione Lazio: la presenza di troppi operatori sanitari inidonei alla mansione, in sostanza troppi “furbetti del quartierino” –  pardon, del repartino – che, grazie alla certificazione di medici sicuramente compiacenti, riescono a scansare le attività considerate più gravose, magari anche i turni notturni e gli altri compiti più faticosi.

Ecco individuato, finalmente, il capro espiatorio dei mali della Sanità Pubblica, responsabile della malasanità.

Nulla a che vedere, naturalmente, con la carenza cronica di personale ormai ridotto all’osso, di turni di lavoro massacranti, dell’assenza di ausili tecnico-meccanici per la movimentazione efficace dei pazienti, del progressivo e inesorabile innalzamento dell’età pensionabile. Meglio, molto meglio, dichiara il Segretario dell’Area Medici Competenti di Co.Si.P.S. dott. Ernesto Ramistella,  lanciare anatemi nei confronti dei medici competenti, che si permettono addirittura di esprimere giudizi con prescrizioni e limitazioni intese alla tutela della salute dei lavoratori, esplicitamente previste dalla legge, il noto decreto legislativo n. 81 del 2008 con le successive modifiche e integrazioni e la restante normativa correlata, valutazioni giudicate “eccessive”, “ingiustificate” e “sproporzionate”, benché non si comprenda a che titolo e con quali (valide ?) motivazioni. Ma no, i medici competenti e le commissioni interne delle aziende sanitarie e degli ospedali emettono sicuramente valutazioni errate o, comunque, discutibili per cui occorre “far luce sulla situazione, occorre l’intervento di enti esterni come l’Inps, l’Inail o anche i Militari, magari utilizzando il Celio» come affermato in un recente articolo pubblicato sulle pagine regionali del Lazio di un noto quotidiano nazionale.

La tesi, come già detto, non è originale né inedita e probabilmente, come già accaduto in passato, dopo qualche giorno l’attenzione dei lettori e degli amministratori locali sarà rivolta ad altre e più impellenti questioni ma sarebbe meglio, una volta per tutte, stabilire ove risiede la radice di questo “problema” – se proprio così vogliamo definirlo – tentando di evitare facili generalizzazioni o di evocare soluzioni improponibili, o addirittura dannose.

Come in tutte le aziende pubbliche e private, anche nelle aziende sanitarie l’idoneità degli operatori alla mansione specifica viene stabilita dal cosiddetto “medico competente”, nominato dall’amministrazione e incaricato della sorveglianza sanitaria finalizzata alla tutela della salute dei lavoratori. Alla fine di ogni visita il medico competente esprime il giudizio di idoneità, che può prevedere anche delle prescrizioni o delle limitazioni atte a impedire che le condizioni di salute del dipendente affetto da malattie di varia natura possano peggiorare in relazione all’attività lavorativa e ai compiti e alle funzioni svolte. Tutti i giudizi di idoneità vengono emessi dai medici competenti, come si dice, in piena “scienza e coscienza” e hanno l’obiettivo di salvaguardare la salute individuale del singolo dipendente. In ogni caso, proprio per evitare valutazioni erronee (sempre possibili) o eventuali abusi è ammesso ricorso – sempre a termini di legge – all’organo di vigilanza territorialmente competente, che può confermare, modificare o anche annullare il giudizio iniziale.

L’iter normativo previsto è dunque ben chiaro e assolutamente “garantista” per tutti gli attori del sistema, Amministrazione compresa, e a nulla vale invocare l’intromissione di altri enti pubblici che non hanno a che vedere con la valutazione del lavoro pratico e delle mansioni che può svolgere – o non svolgere – il dipendente. Illegittimo sarebbe, infatti, far giudicare il personale di un’azienda sanitaria da parte di medici esterni o di commissioni di altra azienda … e siamo poi sicuri che il risultato di tali “nuove” valutazioni sarebbe tanto differente da quanto già fissato? Può ragionevolmente ritenersi che i lavoratori considerati parzialmente inidonei “guariscano” improvvisamente – si potrebbe dire miracolosamente – dai loro malanni e possano attendere regolarmente e senza controindicazioni alla loro mansione di appartenenza ?  

Ma forse, allora, agitare lo spauracchio del controllo dei dipendenti falsi invalidi (sic!) vuole solo distogliere l’attenzione dalle reali cause del problema:

– la carenza di medici e infermieri: secondo alcune stime, considerando anche le figure tecniche, solo nelle piante organiche del Lazio mancherebbero almeno 10.000 operatori;

– la disastrosa organizzazione del Sistema Sanitario, per cui piano pianino gli ospedali si sono trasformati in trincee e i reparti di Pronto Soccorso in gironi danteschi, con ruoli che sempre meno si è invogliati a ricoprire e dai quali, appena si può, si fugge;

– il progressivo aumento dell’età media dei dipendenti, in assenza di una reale programmazione e di adeguato turnover da parte della Regione, per cui il 40% dei dipendenti della sanità laziale ha più di 60 anni e addirittura il 20% ha più di 65 anni, con le inevitabili ripercussioni legate al fisiologico processo di invecchiamento, anche senza l’insorgenza di patologie croniche e cronico-degenerative; una forza di lavoro anziana è di per sé soggetta a maggiori rischi di infortuni, malattie e stress.

L’elevata incidenza di limitazioni e prescrizioni rappresenta solo l’imprescindibile conseguenza di quanto prima detto, una condizione che va facendosi sempre più drammatica per gli operatori in servizio che, nonostante tali croniche carenze di organico e di dotazioni, continuano ad assicurare quotidianamente la continuità del loro operato.

Al posto dei militari in corsia, quindi, per censurare giudizi ritenuti eccessivi e ridurre questo esercito di dipendenti scansafatiche e marpioni che si rifiutano di lavorare forse sarebbe meglio pensare a mettere mano seriamente a un piano di assunzioni e di formazione per garantire il ricambio generazionale, senza intaccare il mantenimento e il miglioramento delle competenze professionali per una Sanità attuale e moderna.

La soluzione non è quella di creare una sorta di black-list dei lavoratori inidonei per additarli al pubblico ludibrio (o peggio demansionarli o espellerli dai reparti) ma quella di continuare a investire, con razionalità, nella valorizzazione e nella tutela del personale sanitario attraverso alcune possibili azioni:

  • prevedere percorsi di ricollocazione e di riqualificazione dei lavoratori inidonei per sfruttare le loro esperienze e le loro capacità in ambiti e mansioni compatibili con il loro stato di salute;
  • avviare una ricognizione dei posti di lavoro carenti in pianta organica per avviare un piano di assunzioni mirato, per rafforzare il numero e la qualità degli operatori e ridurre l’età media;
  • prevedere dotazioni ausiliarie che riducano i carichi manuali di lavoro e consentano maggiore efficienza da parte degli operatori.
  • garantire una formazione costante e aggiornata al fine di migliorare competenze e sicurezza.

Non liquidiamo, con tanta facilità, il ruolo fondamentale e il valore del lavoro di tutti gli operatori sanitari, ivi compresa la sorveglianza sanitaria dei lavoratori e i giudizi dei medici competenti, tenuto conto dell’attuale periodo post-emergenziale ma ancora assai critico per la Sanità Pubblica; chiediamo a tutti di assumersi le proprie responsabilità, senza imboccare facili scorciatoie e di intervenire rapidamente e in modo efficace per risolvere i reali problemi presenti oggi sul tappeto.

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