Le linee-guida non possono essere considerate parametro unico di riferimento cui adattarsi (tanto più per il medico competente).

In seguito all’emanazione della cosiddetta “Legge Gelli” (legge n. 24 dell’8/03/2017) molte società scientifiche e tecnico-professionali hanno richiesto – e in molti casi ottenuto – l’accreditamento ministeriale per l’espressione di “linee guida” per gli specialisti del proprio settore sanitario. Anche nel campo della Medicina del Lavoro, segnatamente per l’attività professionale del medico competente, le due società di spicco (SIML e ANMA) hanno ottenuto tale riconoscimento. Molti eventi (convegni, congressi etc.) sono stati dedicati alla questione, sia dal punto di vista metodologico sia per quanto attiene ai temi specifici da trattare, dal punto di vista scientifico e professionale. Tuttavia, è da tenere presente che l’attività quotidiana del medico competente è legata a precisi obblighi di legge, a partire dal noto D.Lgs. 81/08 (ma anche da una serie di norme collegate, talora disparate, di natura nazionale o regionale), il cui mancato adempimento comporta sanzioni di tipo amministrativo e/o penale. Per tale motivo, non sempre l’esistenza di linee-guida specifiche può facilitare l’azione della categoria o semplificare l’applicazione di prassi o procedure messe in campo nei vari luoghi di lavoro, anche perché, come si sa, “la responsabilità penale è personale” e ciascun professionista risponde direttamente di quello che fa e fermo restando che la legge Gelli riguarda gli aspetti inerenti alla colpa grave in ambito di responsabilità civile, fattispecie abbastanza rara nel campo delle richieste risarcitorie finora presentate all’Autorità giudiziaria per quanto attiene al medico del lavoro e al medico competente. A tale proposito, una recente sentenza della Corte di Cassazione (ordinanza 30998 del 30/11/2018) ha precisato il principio e le possibilità di applicazione delle linee guida, valutando in termini più corretti il quadro clinico e l’atteggiamento tenuto dal medico. Così afferma la Suprema Corte: “le c.d. linee guida (ovvero le leges artis sufficientemente condivise almeno da una parte autorevole della comunità scientifica in un determinato tempo) non rappresentano un letto di Procuste insuperabile. Esse sono solo un parametro di valutazione della condotta del medico: di norma una condotta conforme alle linee guida sarà diligente, mentre una condotta difforme dalle linee guida sarà negligente od imprudente. Ma ciò non impedisce che una condotta difforme dalle linee guida possa essere ritenuta diligente, se nel caso di specie esistevano particolarità tali che imponevano di non osservarle (ad esempio, nel caso in cui le linee guida prescrivano la somministrazione d’un farmaco verso il quale il paziente abbia una conclamata intolleranza, ed il medico perciò non lo somministri); e per la stessa ragione anche una condotta conforme alle linee-guida potrebbe essere ritenuta colposa, avuto riguardo alle particolarità del caso concreto (ad esempio, allorché le linee guida suggeriscano l’esecuzione d’un intervento chirurgico d’elezione ed il medico vi si attenga, nonostante le condizioni pregresse del paziente non gli consentissero di sopportare una anestesia totale)”. L’ordinanza riguarda il caso di un soggetto che, dopo un incidente stradale, era stato sottoposto alla splenectomia e alla riduzione della frattura del bacino presso il locale ospedale e poi, trasferito in una clinica privata, era stato colpito da una trombosi venosa profonda. Per tale evento, ipotizzando la condotta colposa dei medici che lo avevano curato, era stata fatta causa alla clinica. In primo grado era stata riconosciuta la responsabilità dei sanitari, a fronte di una ritenuta erronea interpretazione delle condizioni del paziente, mentre in Corte d’Appello veniva accolto il ricorso proposto dalla casa di cura e dai medici incolpati del fatto. Tale sentenza è stata quindi impugnata in Cassazione, che si è pronunciata su alcune delle motivazioni di ricorso. Il passaggio cui è stato fatto riferimento in precedenza è quello relativo al terzo motivo di impugnazione, secondo il quale erano stati omessi fatti decisivi e, in particolare, una discordanza con le linee guida comunemente indicate per il trattamento dei politraumatizzati. Con tale dispositivo la Corte di Cassazione, in sostanza, ha stabilito che le linee guida non costituiscono un rigido parametro di riferimento cui i medici debbano necessariamente adattarsi e che al tempo stesso, se a giudizio del medico le stesse siano palesemente inidonee, il seguirle pedissequamente può configurare una condotta colposa: “non costituendo le linee guida un parametro rigido e insuperabile di valutazione della condotta del sanitario, la circostanza che il giudice abbia ritenuto non colposa la condotta del sanitario che non si sia ad esse attenuto non è, di per sé e da sola, sufficiente per ritenere erronea la sentenza, e di conseguenza per ritenere “decisivo” l’omesso esame del contenuto di quelle linee guida”. In conclusione, pur non disconoscendo il significato e la rilevanza delle linee-guida per ogni settore specialistico, la Cassazione sottolinea l’importanza dell’attenta valutazione del caso e della loro stessa concreta applicabilità, lasciando al medico la considerazione ragionata – e finale – delle circostanze e del suo conseguente comportamento in merito.

Ernesto Ramistella

Allegato: Corte di Cassazione – III sez. Civile: ordinanza 30998 del 30-11-2018

Torna in alto